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Storia delle donne, storia di genere

Il genere come categoria imprescindibile della ricerca storica

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Nel corso del XX secolo, la storia delle donne è nata per contrastare l’epistemologia classica della storia, che attribuiva al soggetto maschile caratteri di universalità, cercando dunque di sopperire all’assenza delle donne dalla storia. L’avanzamento costante delle ricerche ha aperto problematiche nuove, che toccano i rapporti di potere tra uomo e donna, nonché le costruzioni culturali e sociali che soggiacciono al patriarcato e al discorso della supremazia maschile. L’attenzione si è dunque progressivamente spostata «dalla storia di uno specifico (per quanto ampio) gruppo sociale - le donne - alla più inclusiva storia delle relazioni sociali tra i sessi, e alla costruzione storica e sociale delle identità maschili e femminili in relazione fra loro» (Salvatici, 2010).

Questa estensione di prospettiva determina il superamento di un discorso che destina l’appartenenza sessuale femminile a valori potentemente naturali e biologici: «L’equazione simbolica tra donna e natura rischiava di ricacciare il femminile fuori dal mondo storico dell’azione e del mutamento» (Fazio, 2000). La diversità naturale e biologica determina, in quest’ottica, una separazione tra uomo e donna – giustificando di conseguenza la superiorità del primo sulla seconda – e dunque un’altrettanta separazione delle due storie: storia degli uomini e storia delle donne.

Un fondamentale mutamento d'approccio

Il termine genere viene a significare un fondamentale mutamento d’approccio, indicato dalla storica Paola di Cori come «la maniera con cui mascolinità e femminilità sono concepite come categorie socialmente costruite, in opposizione a “sesso” che si riferisce invece alle distinzioni biologiche tra maschio e femmina» (Fazio, 2000).

Grazie soprattutto al noto saggio del 1986 della storica americana Joan Scott, dal titolo «Il "genere": un'utile categoria di analisi storica», il genere diventa un criterio di analisi indispensabile alla ricerca storica. Scott infatti definisce il concetto di genere come una connessione integrale tra due proposizioni: è «un elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi» e «un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere» (Scott, 1986). La complessità del concetto di genere è dovuta al coinvolgimento di quattro elementi correlati, nessuno dei quali agisce senza gli altri: simboli, miti e rappresentazioni; costruzione dei concetti normativi; dimensione del conflitto politico; definizione di concrete identità soggettive.

Scott esplicita come la costruzione dei processi normativi sia il risultato di una contrapposizione binaria fissa, «che afferma in modo categorico e inequivocabile il significato di maschio e di femmina, di maschile e di femminile». Questa contrapposizione comporta la repressione di eventuali alternative e la posizione che emerge come dominante è dichiarata come l’unica possibile. Di conseguenza la storia successiva viene scritta «come se quelle posizioni normative fossero il prodotto del consenso sociale anziché del conflitto» (Scott, 1986). L’autrice avanza alcuni esempi, tra cui gli attuali sviluppi religiosi fondamentalisti, che premono per una restaurazione del “tradizionale” ruolo delle donne, presentato come più autentico, mentre in realtà esistono ben pochi precedenti storici di una sua esistenza incontrastata.

Joan Scott trova il fine fondamentale della ricerca storica – e della didattica storica – proprio nello svelare, grazie anche al genere, la dinamicità dei rapporti politici e dei processi normativi:

«Il fine della nuova ricerca storica è di infrangere la nozione di fissità, nello svelare la natura del dibattito o la repressione che governa l’apparentemente eterna permanenza della rappresentazione di genere binaria. Questo tipo di analisi deve includere l’idea di politica come riferimento alle istituzioni e alle organizzazioni sociali il terzo aspetto dei rapporti di genere.» (Scott, 1986)

L’analisi delle dinamiche di genere diventa dunque lo strumento fondamentale con cui comprendere come sono elaborati il potere e i rapporti sociali. Come scrive la stessa Scott, «affermatisi come un insieme di riferimenti oggettivi, i concetti di genere strutturano la percezione e l'organizzazione concreta e simbolica di tutte le forme della vita sociale. Nella misura in cui tali riferimenti determinano distribuzioni di potere (diversi gradi di controllo o di accesso a risorse materiali e simboliche), il genere viene coinvolto nella concezione e nella costruzione del potere stesso» (Scott, 1986).

Nel discorso di Joan Scott il genere dunque «fornisce un mezzo per decodificare il significato e per comprendere le complesse connessioni tra le varie forme di interazione umana: quando gli storici indagano sui modi in cui il concetto di genere legittima e costruisce i rapporti sociali, essi analizzano il carattere di reciprocità che si stabilisce tra genere e società, e i modi particolari e contestualmente specifici in cui la politica costruisce il genere e il genere costruisce la politica» (Scott, 1986).

Una ricerca su queste basi produrrà una storia che saprà fornire nuove prospettive a vecchi problemi, ridefinirà questi ultimi in termini nuovi, e genererà domande a cui ancora si deve una risposta.

«Quale rapporto esiste tra le leggi sulle donne e il potere dello Stato? Perché (e fino a quando) le donne sono rimaste invisibili come soggetti sociali, quando ne conosciamo la partecipazione agli eventi grandi e piccoli della storia umana? Il genere ha legittimato l’emergere di carriere professionali? È sessuato il soggetto della scienza? Che relazione intercorre tra la politica statale e l’individuazione dell’omosessualità come crimine? In quale maniera le istituzioni sociali hanno incorporato il genere nei loro assunti e organizzazioni? Vi sono mai stati modi autenticamente egualitari di concepire il genere in base ai quali siano stati progettati, se non addirittura costruiti, dei sistemi politici?» (Scott, 1986)

La lezione di Joan Scott permette dunque di comprendere che la categoria di genere rappresenta nello stesso tempo un’aggiunta alla storia e la ragione di una sua completa rielaborazione: essa fornisce qualcosa in più alla comprensione della storia e diventa un elemento imprescindibile per una sua completezza.

La storia di genere in cantiere

Come lo testimoniano i principali manuali anglosassoni, nel corso degli anni Ottanta e Novanta tre sono state le piste intraprese a livello internazionale dalla storia di genere: inserire le donne nel campo delle discipline che le avevano fino ad allora ignorate (“Becoming visible. Women in European History”, Boston. Houghton Mifflin, 1987); introdurre la storia delle donne nel quadro della storia “generale” (“Connecting Spheres: Women in the Western World”, New York, Oxford University Press, 1998); rappresentare la storia delle donne come campo separato e disciplina specifica (“A History of Their Own: Women in Europe from Prehistory to the Present”, New York, Oxford University Press, 1990).

Pur con una certa lentezza, a livello italiano è stata per lo più seguita la seconda pista storiografica. L’obiettivo di “connettere le sfere” è stato sostituito con un modello più ambizioso, ripreso con la metafora dell’«innesto», dove sulla base di due specie diverse se ne crea una completamente nuova: su alcuni grandi temi tradizionali – cittadinanza, giustizia, Stato, Chiesa, famiglia, lavoro – l’apporto della storia delle donne alla storia generale permette così di determinare una riconsiderazione complessiva dei temi oggetto di indagine (Lazzari, 2010). Un esempio di questo metodo di lavoro è la collettanea “Innesti”, a cura di Giulia Calvi ed edita da Viella nel 2004.

In Svizzera gli studi di genere sono stati condizionati dal ritardo con cui le donne hanno ottenuto il diritto di voto. Anche per questa ragione, i primi studi di storia delle donne si sono focalizzati sull’analisi del percorso dell’ottenimento dei diritti politici, si pensi per esempio all’opera di Susanna Woodtli, “Du féminisme à l’égalité politique: un siècle de luttes en Suisse 1868-1971”, pubblicato nel 1977, e all’opera di Lotti Ruckstuhul “Il suffragio femminile in Svizzera: storia di una conquista pubblicato in italiano” nel 1991 (Castelletti, 2014). Dalla seconda metà degli anni Ottanta, invece, seguendo le influenze generali, la ricerca svizzera si è concentrata su tematiche più prettamente sociali e di genere. Grazie allo sviluppo di una maggiore sensibilità a livello universitario, lo studio di genere conosce oggi una crescita molto interessante a livello di corsi, di tesi e di convegni.

L’evoluzione della riflessione storiografica sulla storia di genere e il suo fruttuoso “innesto” nella storia globale hanno dunque portato alla considerazione sempre più incontestabile che gli storici, credendo di fare a meno del concetto di genere, «si amputano di una chiave di comprensione indispensabile» (Klapisch-Zuber, 2006).


L'atis mette a disposizione alcuni testi storiografici che permettono di approfondire la questione:

Downloads:

In questo file compresso sono archiviati diversi testi storiografici che possono aiutare gli studenti e gli insegnanti a riflettere sulla tematica della storia di genere.

I testi sono i seguenti:

  • Alberto Mario Banti (2008), Il «genere» come categoria di analisi storica (Zemon Davis, Scott), in A. M. Banti, Il senso del tempo - vol 3, Laterza.
  • Arianna De Sangro (2015), L'immaginario del femminismo. Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari Venezia.
  • Angelika Epple (2012), Storia globale e storia di genere: un rapporto promettente, in Storia e regione, Innsbruck, N.1-2.
  • Yasmine Ergas (1996), La costituzione del soggetto femminile: il femminismo degli anni '60 -'70, in G. Duby-M. Perrot, Storia delle donne in Occidente. Il Novecento, Roma-Bari, Laterza.
  • Ida Fazio (2000), Gender History, in Dizionario di Studi culturali, online sul sito www.studiculturali.it (http://www.studiculturali.it/dizionario/pdf/gender_history.pdf).
  • Elena Gianini Belotti (1973), Gli stereotipi della cultura occidentale, in E. Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli.
  • Luce Irigaray (1975), Il pensiero della differenza, in L. Irigaray, Speculum. L'altra donna, Feltrinelli.
  • Nadine Lefauncher (1992), Famiglia: un nuovo regime della riproduzione, in G. Duby - M. Pierrot, Storia della donna, il Novecento, Laterza.
  • Philippa Levine (2010), Storia delle donne e di genere tra avanzamenti e ricerche, in Contemporanea, N.2.
  • Gianna Pomata (1993), Histoire des femmes et «gender history», in Annales. Economies, sociétés, civilisations, N.4.
  • Silvia Salvatici (2010), Storia di donne storia di genere. Metodi e percorsi di ricerca, in Contemporanea, N.2.
  • Joan W. Scott (1987), Il "genere": un'utile categoria di analisi storica, in Rivista di storia contemporanea, N.4.
  • Elisabetta Vezzosi (2010), Il genere: una categoria sufficiente per l'analisi storica?, in Contemporanea, N.2.
  • Fabrice Virgili (2002), L'histoire des femmes et l'histoire des genre aujourd'hui, in Vingtième Siècle. Revue d'histoire, N.75.
DateGiovedì, 16 Maggio 2019 09:56
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Il video seguente presenta in maniera breve le tesi del libro di Joan Wallach Scott "Gender and the Politics of History"

 

ATIS - INFORMAZIONI GENERALI

L'Atis, Associazione ticinese insegnanti di storia, è nata il 2 ottobre 2003 con l'obiettivo di riunire i docenti di storia della Svizzera italiana di tutti i gradi di scuola.

L'Associazione promuove la riflessione e il dibattito sull'insegnamento della storia e sulle diverse correnti storiografiche.

Difende la professionalità dell'insegnante di storia nell'ambito di una scuola sempre più messa sotto pressione dalle esigenze di una società dominata dalle leggi del rendimento economico.

Associazione ticinese degli insegnanti di storia - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - https://www.atistoria.ch